Dopo la 1ª parte dedicata ai comportamenti alimentari stabiliti dalle varie religioni passerei ad iniziare quelli che sono i comportamenti a tavola più comuni e, per comprenderli, dobbiamo chiederci perché mangiamo seduti attorno ad un tavolo e non ognuno sparso per i vani della casa. In realtà, nelle città l’usanza di mangiare a casa tutti a tavola è particolarmente recente. Per motivi di lavoro, molto frequentemente, gli uomini, ma anche le donne mangiavano fuori casa per necessità visti gli orari massacranti a cui erano sottoposti. La cultura del sedersi a tavola in modo conviviale è senz’altro più tipica della civiltà contadina del passato. Ciò è dovuto anche in parte alla facilità del procurarsi il cibo per tutta la famiglia, dato che nelle campagne era più semplice avere cibo per tutti. Nelle città almeno fino ai tempi recenti del dopoguerra le condizioni familiari, spesso, non consentivano questo piacevole rituale se non per festeggiare qualcosa come nascite, matrimoni, o altro.. La tavola imbandita del passato era perlopiù una “buona” abitudine dell’alta borghesia che ci teneva a distinguersi anche in questo dai ceti più bassi. Tornando alla vita contadina, a tavola ci si sedeva, non solo per cibarsi, ma vi si discutevano le decisioni lavorative, si educavano i figli alle buone maniere, si raccontavano storie vecchie e nuove, si educava la famiglia al risparmio, al rispetto del più grande, alla solidarietà verso i più bisognosi (ogni settimana si faceva mangiare alla propria tavola un meno abbiente) e, probabilmente, si parlava anche di politica (forse oggi non se ne parla per non farsi andare il mangiare di traverso). Ai nostri giorni il mangiare tutti insieme a volte corrisponde con i giorni festivi come la domenica, o le grandi festività come il Natale ecc. Un barlume della convivialità tra le mura di casa della civiltà contadina che corrispondeva appunto alle feste liturgiche e gli eventi stagionali: la trebbiatura, la vendemmia, l’uccisione del maiale, ecc.

La famiglia di ieri, attraverso la tavola trasmetteva la propria cultura, anche se a volte in forma autoritaria, con modalità sicuramente discutibili, aveva comunque una importante incidenza sul costume e sulla trasmissione di valori validi o meno che fossero. Oggi a tavola si va di fretta perché controlliamo i cellulari o si sta zitti per sentire cosa dice la televisione con i suoi spot pubblicitari nati per veicolarci ai consumi. Come sempre ci tengo a sottolineare che non c’è nessuna personale nostalgia per il passato, ma soltanto fatti attendibili dei quali dobbiamo essere a conoscenza per comprendere meglio il nostro presente quando stiamo seduti a tavola.
Come detto nel precedente articolo, ogni usanza, ogni sistema di alimentazione prevede precise norme e condizioni, norme condivise dal gruppo sociale di riferimento e guidate, soprattutto, da norme di tipo religioso/sociale. Alimentarsi è anche un rito con i suoi codici simbolici: la preparazione e la consumazione dei pasti, il calendario degli usi alimentari (feste e quaresime), la messa in scena del rito alimentare, costituiscono chiari elementi di identificazione socio-culturale. La convivialità a tavola ha comunque rappresentato e rappresenta tuttora uno strumento sociale e comunicativo potentissimo riscoperto, parzialmente, negli ultimi anni.
Il Rinascimento, o meglio il suo periodo finale, oltre a essere il secolo degli artisti e dei letterati è caratterizzato , nel campo dell’alimentazione, dalla comparsa di nuovi alimenti e dalla comparsa del più famoso dei trattati per stabilire le regole del comportamento quando ci si siede a tavola: il Galateo ed è proprio con questo trattato delle “buone maniere” che ci ritroviamo ancora oggi a fare i conti con l’educazione a tavola. L’opera si inserisce nel filone umanistico e didascalico tipico dei trattati dell’epoca e non starò a sottolinearne tutti gli aspetti, ma a suo vantaggio ritengo che bisogna dire che il modello etico ed estetico dell’uomo rinascimentale nel Galateo non viene ristretto alla nobiltà, ma dichiarato raggiungibile da tutti…tutti quelli che avevano da mangiare naturalmente.
L’autore di questo autorevole testo, il Della Casa, tratta le buone usanze da tenere in tutte le occasioni nella vita di società. Per quanto riguarda la tavola ci indica i comportamenti da tenere, come il non grattarsi, non riempirsi troppo la bocca, non pulirsi i denti con il tovagliolo, né tanto meno con lo stuzzicadenti e non sputare. Altra cosa che sconsiglia caldamente è l’offrire da bere, considerata dal Della Casa una “malattia” d’oltralpe, che, per fortuna, non si era ancora radicata in Italia. Il lavarsi le mani in pubblico è accettabile solo prima di pranzo e dinnanzi ai commensali, così che possano essere sicuri che la persona con cui divideranno il cibo è pulita; infatti nel XVI secolo era ancora diffuso il dividere il piatto e il bicchiere con un’altra persona e l’uso delle posate non era ancora ben radicato. La varianti che arrivano a noi sono innumerevoli e avremo modo di esplicarle meglio nel prossimo articolo dedicato a questo argomento.
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Un pensiero su “C.S.I in cucina: a tavola 2ª parte”