Il mio incontro con la geofagia o litofagia (letteralmente mangiare la terra) lo ebbi all’università durante le lezioni di antropologia ed in particolare ad un corso dedicato all’ etnomedicina. La lezione spiegava che per cura o prevenzione in Africa, dove le medicine scarseggiano, le donne che aspettano un bambino mangiano una particolare argilla ricca di calcio che, in pratica, sostituisce quei medicinali utilizzati nella nostra società per evitare rischi di malformazioni al feto. Nell’antropologia dell’alimentazione la geofagia è stata considerata da diversi punti di vista: una malattia psichiatrica, un’usanza culturale, una pratica conseguente alla povertà e alla fame. Già Ippocrate (460-377 a.C.), il medico greco ritenuto ancora oggi il padre fondatore della moderna medicina, è stato il primo studioso a fornire una descrizione ufficiale di geofagia: “Se una donna incinta sente il desiderio di mangiare terra o carbone e poi li mangia, il bambino mostrerà segni di ciò”.
Come e dove si sia sviluppata questa pratica è ovviamente un mistero. Alcuni studiosi ritengono che l’uomo ha acquisito questa pratica osservando il comportamento animale. Il gorilla di montagna insieme all’alimentazione vegetariana sgranocchia determinate pietre e altrettanto fanno altre specie come l’alce o il daino siberiano. Studiando questi casi di litofagia animale si è scoperto che anche gli uomini di quelle zone completano la loro dieta con pietre “commestibili”. Da non credere questi cibi inconsueti non solo non provocano occlusioni intestinali o appendiciti, ma, attraverso uno scambio di ioni, permettono all’organismo di assorbire i minerali migliorando addirittura le difese immunitarie degli individui che se ne servono.
La geofagia potrebbe quindi contribuire al rafforzamento dell’apparato gastro-intestinale, rendendolo più resistente ad eventuali infezioni batteriche, un argomento particolarmente rilevante in questi tempi in cui si parla di batteri killer antibiotico resistenti. Una ricerca ha evidenziato, attraverso la revisione di numerosi studi precedenti come questa pratica potrebbe veramente salvaguardare da infezioni gastrointestinali. Lo studio ha riguardato circa 480 diverse popolazioni che praticano la geofagia e ne ha evidenziato l’uso maggiore nelle donne incinte e nei bambini: dall’Africa alla Siberia, dall’Asia alle Americhe così come lo era nella vicina Sardegna della preistoria. Dunque la geofagia di cui stiamo parlando è una pratica millenaria, una sorta di medicina preventiva tradizionale, ancora oggi praticata in molte zone del mondo. A differenza di quanto si creda infatti, la geofagia non è relegata alla sola curiosità dei bambini che tendono a mettorsi in bocca tutto quello che trovano.
Anche nella nostra società le donne incinta sviluppano a volte voglie strane, ma a differenza di ciò che è stato detto prima, potrebbe trattarsi di un disturbo (Pica), raro, ma che potrebbe manifestarsi. Il termine Pica è stato coniato dal medico francese Ambroise Paré (1510 1590) che fu il primo a descrivere questo “disturbo” alimentare a cui diede il nome di “pica”, il nome latino dei pappagalli. Questi uccelli, come si sa, hanno l’abitudine di mangiare quasi tutto ciò che viene loro dato, sia per la fame o la curiosità, raffigurando così metaforicamente il problema dei pazienti che il medico aveva osservato. Viene considerata una malattia che comporta la pulsione ad ingerire sostanze strane e non alimentari come ghiaccio, argilla, gesso, carbone, sabbia, carta, plastica, dentifricio, fiammiferi bruciati chissà cos’altro ancora. Non si è in grado di trovare una causa per questa patologia. Alcuni suggeriscono che le donne incinte cerchino inconsciamente di compensare alcune carenze alimentari, altri invece collegano l’insorgenza della pica a una mancanza di ferro. La carenza di minerali e, più precisamente, la carenza di calcio potrebbe condurre a comportamenti alimentari particolari. Questa carenza era molto sentita negli anni della rivoluzione industriale a Londra e i bambini “leccavano” le pareti imbiancate a gesso per sopperire a questa mancanza dovuta in particolare ad una cattiva alimentazione ma anche ad una vita lontana dalla luce del sole (vitamina d) perchè lavoravano o perchè le zone della città in cui vivevano erano molto anguste e la luce faticava ad arrivare.
Ma in fondo siamo tutti un po geofaghi: quando si macina la farina a pietra (come tuttora in alcune zone dell’Italia del Sud) alcuni frammenti di pietra rimangono nella stessa farina, conferendole quel tipico sapore minerale tanto gradito, la stessa cucina a base di argille verdi o grigie è molto diffusa tra i gourmet e le pentole di terracotta o la “pietra” su cui cuocere il cibo trasmettono piccolissime parti di minerale delle quali nessuno si è mai lamentato anche perchè i minerali e i metalli sono una componente importantissima per in nostro organismo ma troppo raramente ce ne ricordiamo.